lunedì 23 agosto 2010

Religione e potere

Molti blogger lo fanno, chi più chi meno limpidamente (cioè citando le fonti o sbattendosene e vestendosi allegramente con le penne del pavone), ma stavolta anch'io posto un pezzo non mio perchè non avrei mai potuto fare di meglio

Zucconi è un giornalista che mi piace abbastanza perchè è intelligente e ironico ma purtroppo spesso inquina con la "furbetteria" i suoi articoli, elargendo a piene mani tutti gli escamotage utili a rendere un pezzo divertente e caustico perdendo di vista magari l'onestà intellettuale


Questo articolo però mi piace molto ed esprime perfettamente quello che avrei voluto dire io appena letta la notizia e visto e considerato che io non avrei saputo in mille anni scriverlo meglio mi impigrisco e uso il famigerato copia/incolla:

Il Dio di Barack Obama
la preghiera del presidente

La religiosità di Barack Obama è stata finora usata contro di lui: troppo tiepida, dicono i repubblicani. E il 19 per cento degli americani sospetta che sia musulmano. Così adesso il suo staff corre ai ripari, cercando di presentare l'immagine di un uomo più devoto
di VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON - La voce professionale della centralinista della Casa Bianca scosse il reverendo Joel Hunter dalle devote meditazioni nella sua chiesa in Florida con la richiesta imperiosa di restare in linea e l'annuncio raggelante che il presidente degli Stati Uniti lo stava cercando dall'alto dei cieli, dai 15 mila metri di quota dove incrocia l'Air Force One, ben al di sopra del traffico commerciale.

Barack Hussein Obama aveva urgente bisogno di parlare con un pastore d'anime, con un uomo di Dio. "Hi, salve, Joel - risuonò la voce baritonale e pastosamente inconfondibile del capo della nazione - oggi è il giorno del mio compleanno, il 4 agosto, e sono qui da solo come un cane, un po' depresso senza la moglie che è in vacanza e le figlie al campeggio estivo. Avrei voglia di pregare sull'anno passato, sui miei errori, su quello che ci attende in autunno, le dispiace?".

Al reverendo Hunter, suo vecchio amico, cappellano di fatto del Partito democratico i cui congressi ha benedetto, non poteva dispiacere. Con automatica premura, si lanciò immediatamente nel Padre nostro. Di questo piccolo episodio probabilmente autentico, almeno come autentici sono gli episodi che dagli uffici stampa dei governi sgocciolano sui giornali, non avremmo mai saputo niente se questa estate di tormenti politici, lapidazioni economiche e spinosi sondaggi che vedono crescere il numero di americani fuori di testa che sospettano Barack Hussein di essere musulmano (19 per cento, un po' più di quelli persuasi che Elvis sia ancora vivo) non avesse prodotto quel miracolo che la politica americana sforna a intervalli regolari, e sempre quando le vele dei suoi leader si sgonfiano o sbattono contro tempeste brutali: il ritorno di Dio alla Casa Bianca.


La telefonata-confessione di Obama dalla solitudine del mastodonte alato al pastore protestante preferito (e poi anche ad altri due, tanto per stare nel sicuro) non ha raggiunto la deliziosa ipocrisia dei pastori protestanti, sacerdoti cattolici, rabbini, imam, spiritualisti New Age convocati a plotoni dal contrito, perché scoperto, Bill Clinton sul luogo dei suoi peccati carnali per penitenza dopo il piacere nello Studio ovale. Ma la riscoperta di Dio compiuta da Obama è un indice di difficoltà politiche più eloquente e sicuro di cento editoriali e di ogni listino di Borsa.

Il Dio della Casa Bianca è ormai da quasi due secoli e mezzo un ospite insieme permanente e precario, è un fantasma nel guardaroba che gli inqulini evocano o rinchiudono secondo convizioni personali che tendono a coincidere con le loro fortune politiche o ad alimentarle. Dalla fondazione della Repubblica, affidata a un gruppo di fieri e convinti massoni che alludevano a divinità ben lontane dalle visioni dei papi di Roma, degli arcivescovi di Canterbury o dei riformati luterani, Dio, per ora soltanto nell'edizione rigorosamente dopo Cristo, non è mai del tutto mancato nei governi di una nazione che si proclama la più cristiana del mondo (Stato del Vaticano escluso per dimensioni). Ma se per un Lincoln, che impose la scritta "In God we trust", in Dio confidiamo, sulle monetine da un centesimo, per un Kennedy che da bravo cattolico credeva profondamente nei preti preferibilmente porporati, per un Bush (quello giovane) ribattezzato e rinato nell'acqua del Giordano dopo troppe immersioni nel Bourbon, per un Carter insegnante di dottrina, il dono della fede sembrava sincero, la conversione di Barack Obama lascia qualche retrogusto di scetticismo.

Non si tratta naturalmente di dare credenza alla false biografie popolarissime nelle discariche indifferenziate di Internet, dove il suo essere un musulmano nero, soprattutto nero, è un dogma per i fanatici. Falsa e definitivamente screditata è anche la sua frequentazione di madrasse gestite dai fanatici islamisti wahabiti a Giakarta, dove visse bambino con la madre risposata con un indonesiano, una panzana ripetuta come prova della sua infamia, nonostante le incavolatissime smentite del preside della sua scuola elementare pubblica ripetute a chiunque lo abbia intervistato, per dire che nel suo istituto si fa storia di tutte le religioni, Islam incluso, ma nessun indottrinamento. E persino il padre, che lo scaricò infante a due anni per tornarsene in Kenya, risulta essere stato un musulmano per nascita, come indica quel nome di mezzo Hussein, ma morto ateo, come la mamma, che detestava tutte le religioni organizzate e, scrisse Obama stesso, "i panni e gli orpelli dietro i quali i preti nascondono il proprio potere e la propria ipocrisia".

La confessione protestante alla quale Obama, divenuto adulto, aderì è la Chiesa Unitaria di Cristo, la United Church of Christ, conosciuta per la moderazione e la ecumenicità del proprio milione di fedeli americani, più attenta all'apostolato sociale che al misticismo. Il suo avvicinamento ai ben più focosi templi battisti, divenuto inevitabile quando cominciò a fare servizio sociale nella Chicago nera, fu dettato dalla semplice realtà delle chiese come centro di aggregazione e di influenza nella comunità di colore. Un avvicinamento che gli procurò soltanto guai, con la amicizia per un revedendo afroamericano, Jeremiah Wright, esagitato predicatore e militante della "negritudine" rancorosa. Ma quando vinse e stravinse le elezioni del 2008, traslocando nella Casa del potere bianco, gli Obama, padre, madre e figlie, scelsero di evitare le funzioni domenicali, con la scusa di non voler stravolgere le vita dei fedeli con l'invadenza dell'apparato di sicurezza. Le ragazzine, Sasha e Malia, sono state iscritte in un liceo nominalmente quacchero, ma più noto per l'eccellenza accademica e per la forte rappresentativa femminile di soccer, di calcio, e di lacrosse che per l'apostolato.

Nonostante le proclamazioni di "grande nazione cristiana", ripetute con enfasi angosciata e un po' truculenta soprattutto dopo il trauma del 9/11, questo garbato distacco fra il capo dello Stato e la religione organizzata è sempre stato più la norma che l'eccezione. Senza arrivare all'estremo di Theodore Roosevelt, che avrebbe voluto togliere dalle monete anche quel riferimento a Dio che considerava un doppo sacrilegio, per Dio associato ai quattrini e per la zecca associata a Dio, la fede cristiana dei presidenti nel XX secolo è sempre apparsa più un tributo al perbenismo da vestitino della domenica e alla generica moralità mosaica che un afflato irresistibile dell'anima.


Roosevelt, il cugino di Ted, aveva troppi problemi di mobilità da paralisi infantile, polio, alle gambe, per amare inginocchiatoi e riti. Eisenhower, cresciuto come testimone di Geova dalla madre, si rifugiò maturando nel piu mite ed elitario grembo dei presbiteriani. Per quasi due decenni, dal 1960 al 1976, il rapporto fra un presidente e Dio fu definito dal grande discorso di John Kennedy all'Università Rice di Houston, quando mise fine ai sospetti che lui, cattolico, avrebbe obbedito più alla curia romana che alla Costituzione, ricordando che la religione va "chiusa tra parentesi quadre" ed esclusa nel giudicare un candidato.

Dovette irrompere Nixon, quacchero di formazione ma grandissimo devoto del potere e della politica, per riportare il penitenziere nazionale bigotto, Jimmy Carter, a ostentare la propria vocazione come riscatto nazionale dopo il torvo e scandaloso Dick. Carter, catechista di bambini nella natia Georgia, diacono e sacrestano, pagò questo accanito misticismo quando ammise non soltanto di avere libidinosamente sfogliato Playboy, ma di avere avuto un pericoloso incontro con un coniglio mannaro gigantesco negli acquitrini della Georgia. Un'apparizione che rischiò di screditare secoli di mistiche visioni e di messaggeri celesti, mai fino ad allora incarnati in roditori ciclopici.

Il furbissimo Reagan, che nella poco virtuosa Hollywood aveva appreso l'arte di recitare, faceva grande e retorico uso di citazioni bibliche - come l'America "luminosa città sulla collina" pescata direttamente dal discorso di Gesù sul "sale e la luce" nel Vangelo secondo Matteo - e arruolava volentieri Dio nelle orazioni funebri: "Gli astronauti del Challenger hanno oggi toccato il volto di Dio", morendo inceneriti. Ma soltanto nell'estrema vecchiezza annebbiata dall'Alzheimer lo si vide al braccio della fedele Nancy nelle chiese di Bel Air, sopra Hollywood.
Si dovette arrivare a Bush il Giovane per ascoltare un presidente dire, nel discorso più alto dell'anno, quello sullo stato dell'Unione, che lui seguiva le disposizioni di Dio andando a bombardare l'Iraq e che Gesù era il "mio filosofo preferito", un'investitura culturale importante, ma probabilmente un po' riduttiva per il Creatore del cielo e della Terra.

Ma Bush doveva radunare attorno a sé le armate angeliche dell'elettorato cristiano fondamentalista, come gli aveva consigliato il cinico e scarsamente pio Karl Rove, un elettorato che esige quel tributo ai valori conclamati e alla giaculatorie rassicuranti che Obama, neppure telefonando a migliaia di predicatori e uomini di Chiesa, potrà mai garantire. Dice, e fa dire, le orazioni della sera alle figlie. Ci fa sapere che prega sovente, nei momenti privatissimi, magari accendendosi una di quelle sigarette dalle quali non riesce del tutto a svezzarsi. E quando la dispensa del favore pubblico si svuota scatta, come nelle nostre nonne che cinicamente ricordavano di "pregare Gesù quando non ce n'è più", il bisogno di aprire il guardaroba. E invitare ad uscirne quel Dio paziente che aspetta la chiamata dei superbi che credevano di poter fare a meno del Suo aiutino.

giovedì 19 agosto 2010

Studentessa lavoratrice

Ferie finite, eh già, il tempo vola quando ci si diverte e arriva presto il momento del ritorno all’ovile-reparto
Per fortuna abitare qui mi consente di stiracchiare le ferie anche quando lavoro visto che appena arrivo a casa mi metto il costume e mi fiondo in spiaggia (o in diga) alla velocità della luce in modo da sfruttare al massimo la mia lidensità

Il periodo ferragostano fancazzista vacanziero però non mi evita di pensare anche al lavoro in modo serio e visto e considerato che a breve il mio beneamato caposala ci lascerà perché approfitterà della meritata pensione pare proprio che la prescelta per farne le veci sarò io!
Non c’è niente di sicuro, per carità, non si sa nulla, non c’è nulla di scritto e neanche di parlato con il primario ma pare proprio che andando per esclusione mi toccherà proprio prendermi questa responsabilità

Non sono molto entusiasta della probabile novità perché se c’è una cosa che ho sempre evitato sono gli spaccamenti aggiuntivi durante e fuori dell’orario di lavoro e il caposalato è un enorme spaccamento di scatole, d’altra parte un po’ sono attratta da una posizione in cui posso sicuramente dare sfogo al mio blando rompiballismo!
Non sto dicendo che appena salirò sullo scranno comincerò a tediare i miei ex-colleghi ora sottoposti con angherie di vario tipo, di norma anzi io sono molto democratica e accomodante, molto più di quanto non sembri...il mio ideale di infermiera infatti è la scassamaroni sadica di "Qualcuno volò sul nido del cuculo"! :-)


E' probabile a parte gli scherzi che mi riprometta di sistemare due o tre cosine che riguardano l’organizzazione del lavoro e che mi rotellano nel cervellino già da un po’…comunque come dicevo vedremo come girerà la ruota

Nel frattempo mi sto attivando per conseguire il master in “Coordinamento delle professioni sanitarie”, una palla mostruosa che non ho nessuna voglia di intraprendere ma che in pratica sono obbligata a fare
Io che non avevo nessuna voglia di fare l’università mi ritrovo ad essere in possesso di una laurea (delle patatine ma sempre una laurea) e ora a fare anche il salto del master: ma chi l’avrebbe detto?


La filosofia che mi ha portato a tutto questo è quella che mi accompagna da quando ho l’uso della ragione e cioè del “prendi e metti in saccoccia”
Si tratta di una filosofia che non mi ha mai lasciato in braghe di tela, ma anzi mi consente di superare ostacoli imprevisti e di affrontare le nuove sfide con qualche freccia all’arco

Anche in questo caso la mia designazione a caposala ff (facente funzioni, che bella terminologia!) è dovuta non solo al fatto che sono brava bella e simpatica, ma anche alla mia laurea delle patatine già nominata che consente di sbaragliare i potenziali avversari sprovvisti di foglio di carta!
In questo caso i potenziali avversari non ci sono proprio, anzi mi dicono di sorbirmi il malloppo delle rogne caposalesche, ma comunque diciamo che per legge io sarei in effetti l’unica in possesso dei requisiti, e tutto per una laurea fatta proprio con la mia solita massima “prendi e metti in saccoccia”

Stavolta pare che il master non sarà una passeggiata come la scorsa volta, qua si tratta di un corso un po’ più serio, ma non troppo: anche qui si radunano frotte di infermieri che magari hanno un diploma di 30 anni fa e che sono obbligati dalla direzione sanitaria a frequentare l’università, quindi gli atenei si adeguano e sfornano corsi un po’ discutibili e soprattutto on line


Io credo proprio che mi accoderò alla schiera di infermieri che si imbruttiscono davanti al pc per un po’ di mesi in modo da poter poi sfoggiare la mia seconda laurea delle patatine che prontamente metterò in saccoccia: magari può darsi che non serva questa volta ma nella vita mai dire mai!

mercoledì 11 agosto 2010

Ferie casalinghe


Le ferie casalinghe stanno trascorrendo e per me sono un’esperienza strana visto che erano anni e annorum che non passavo un periodo di ferie estive così lungo a casetta
Per fortuna abito a due passi dal mare così anche se non mi posso muovere non mi lamento neanche un po’, anzi devo riconoscere che le ferie mollacciose non sono male ogni tanto

Mi manca un po’ l’aeroporto e la scoperta di luoghi lontani (ma anche la riscoperta di luoghi vicini, va bene tutto!) ma anche cazzeggiare in giro per il Lido non è poi così male, specie se non c’è alcuna scadenza oraria da tenere a mente
E visto che come già detto mille volte a me piace il mare e lo spaparanzamento conseguente mi sto applicando con serietà alla mia specialità e sto diventando abbronzatissima come la canzone omonima tanto che l’altro giorno una amica mi ha detto che sono “troppo nera”!


In realtà non divento un carboncino come certi connazionali che si possono scambiare tranquillamente per africani, ma faccio del mio meglio per non restare bianchiccia effetto malatina e con questo sole non ci vuole molto!

Le previsioni però danno brutto ma proprio brutto per i prossimi giorni e mi sa che la tintarella se ne andrà un po’ in soffitta: poco male, vorrà dire che finalmente rimetterò le scarpette da corsa e ricomincerò a sbuffare sulla battigia resa deserta dalla pioggia…la mia condizione ideale

Intanto però mi godo la meraviglia del blu del mare e il suono delle onde, i voli dei gabbiani a pesca e quelli dei cormorani nel rientro serale (verso chissà dove), le barche dei pescatori che tornano con le reti a bordo e il suono della sirena al passaggio delle navi…la diga è un bel posto dove passare le vacanze!

venerdì 6 agosto 2010

Pfalzen


Non volevo andare in montagna, per me la montagna è un posto lontano, freddo (non fresco come piace a me, freddo!), scomodo, lontano (l’ho già detto? vabbè)
Insomma non posso dire di essere una grande estimatrice dei monti, preferisco di gran lunga i mari, come da italica manìa e non ritengo le cime innevate o pratose questo mitico luogo di pace e tranquillità nonché di immersione nella natura senza l’assillo della folla

Di eremiti spersi in mezzo ai monti non se ne trovano più, le ferrate sono autostrade in cui le compagini di vacanzieri “mordi e fuggi” ti sorpassano a destra mettendo la freccia, arrivi in cima al monte dopo una scammellata non da poco e ti trovi alle prese con un rave party tra cartacce e rifiuti

Magari esagero un pochino ma non sono così lontana dal vero: le mie ultime uscite “serie” che mi vedevano bardata con l’imbrago e il caschetto, appesa per i moschettoni a tenermi in bilico su cengie e mini-sentieri di roccia sono incasellate nei ricordi personali in un turbinìo vociante di miriadi di persone che fatalità avevano scelto lo stesso percorso, e perfino nell’unica (e credo ultima!) ascensione vera e propria ho davvero dovuto subire alcuni sorpassi da parte di cordate più allenate e svelte, nonché le rimostranze dal mio capo-cordata che non voleva subire lo smacco: davvero una situazione idilliaca di comunione con l’universo e con l’umanità!

Non so se sono state queste ultime esperienze a farmi mollare definitivamente le mie velleità montanare, più probabilmente mi sono resa conto che non era proprio uno sport per me: troppo freddo, troppa fatica e ,non ultima, troppa folla
Io amo invece la solitudine (senza esagerare) e trovo più appagante starmene in diga a crogiolarmi al sole spaparanzata sull’asciugamano in compagnia solo dei gabbiani e di qualche pantegana che non dover faticare in maniera assurda per lo scarso premio di una visuale magari oscurata dalle nuvole e soprattutto avvelenata dalla vicinanza di vacanzieri caciaroni e volgarotti

Le cime di un tempo non esistono più, il turismo di massa ha appiattito in un unico magma insulso le folle marine e quelle montanare: le stesse macchiette del galletto a caccia di galline, della squinzia in bella mostra, dei ridanciani e chiassosi grupponi di turisti intruppati nel gruppo organizzato…e via scendendo nella scala dell’umano

Un po’ snob, lo so, ma in effetti sotto la mia scorza di caciarona e volgarotta batte un cuore di single solitaria alla ricerca di luoghi dell’anima senza il fastidio di altri esemplari della stessa specie, e il mio masso in diga è uno dei luoghi in cui le mie aspirazioni non sono disattese, e dove posso contemplare la natura e il mondo attorno a me rigenerando il fisico e lo spirito


Insomma non volevo andare in montagna ma alla fine mi sono fatta convincere dalla mia amica che già da un po’ mi invitava nella sua casetta in mezzo ai monti dell’Alto Adige (o Sud Tirolo, a seconda del punto di vista) e ho ceduto per una minivacanza di 4 giorni
Per fortuna il tempo è stato meraviglioso perché a parte qualche nuvoletta e un temporale breve, ma soprattutto notturno, non abbiamo avuto nessun problema di acqua o freddo, anzi il sole picchiava e ci faceva sudare come al mare!

Le passeggiate si sono risolte per lo più con delle belle biciclettate e una salita in seggiovia più discesa a piedini perché con noi c’era pure una bimba di 4 anni che alla fine però se tanto mi dà tanto mi diventa una scalatrice professionista!

I 4 giorni sono volati all’insegna delle pedalate e dell’abbuffo, così devo dire che mi sono divertita un sacco, grazie soprattutto ai compagni di viaggio che sono delle persone fantastiche e senza alcuna velleità competitiva che trovo insopportabile in certi contesti: siamo in ferie, mica in gara!


Così tra una biciclettata e uno spritz, una radler (birra più limonata: una scoperta di questa vacanza!), e una camminata mi sono volate via le ore di questo nuovo approccio alle montagne e se non posso non ammettere che mi sono trovata benissimo e che i paesaggi erano davvero mozzafiato, poi torno ancora a ribadire che la mia vacanza ideale è un’altra…ma non si sa mai nella vita!

foto? sempre là su facebook! :-)